Aviatori - 15. Cap. Pil. Alberto Masprone

Alberto Masprone nacque a Poiano (Verona) il 30 maggio 1884. Compiuti gli studi, continuò a coltivare l'esercizio fisico prediligendo il pentathlon, in cui seppe primeggiare con i colori del "Istituzione Bentegodi" divenne, nel 1906, campione nazionale per la specialità lancio del disco. Questo traguardo gli permise di partecipare, sempre nel 1906, alle Olimpiadi del Decennale o "Intermedie" di Atene. L'anno successivo vinse il celebre "Pentathlon Reale in occasione dell'Esposizione di Venezia battendo l'atleta genovese Coscia, suo maestro. Si cimentò anche in altre discipline, come il calcio. Fu tra l'altro giocatore, allenatore e dirigente della società Hellas di Verona, per la cui fondazione si impegnò personalmente. Nel giugno 1915, più che trentenne divenne sottotenente M.T. nel 83° Battaglione Intendenza Generale. Chiese di essere ammesso al corso di pilota e l'8 luglio del 1916 fu inviato a Mirafiori al corso di pilotaggio su velivolo Caudron. Il corso di addestramento durò esattamente due mesi e l'8 settembre concluse felicemente l'ultima prova per il brevetto. Il 15 dello stesso mese iniziò l'addestramento sul velivolo Aviatik sul quale si brevettò a gennaio del 1917  a Cascina Costa. Con il grado di tenente passò alla scuola idrovolanti di Sesto Calende e il 1 maggio ottenne l'abilitazione al pilotaggio del velivolo FBA. Nello stesso mese di maggio, per le eccezionali capacità dimostrate fu inviato in qualità di istruttore alla scuola di Orbetello. Nel mese di novembre in pochi giorni effettuò il passaggio sul velivolo Nieuport a Cascina Malpensa, e dopo un breve periodo a Furbara presso la scuola tiri effettuò anche il passaggio sul nuovo velivolo SVA (estate 1917) presso  la scuola di volo di Ponte San Pietro (Bergamo) dove conobbe molti giovani piloti, delusi e sbandati in seguito alle tristi giornate di Caporetto.  A metà dicembre fu assegnato al Comando d'Aeronautica e propose l'idea di costituire una squadriglia  di soli veneti. La proposta fu accettata e nel gennaio del 1918 fu costituita la 87^ Squadriglia Serenissima. Masprone ne divenne il comandante.  La squadriglia, dotata del veloce velivolo SVA, ebbe il compito di effettuare ricognizioni strategiche ed operò sui campi di San Pelagio (Pd), Ghedi (Bs) e dal 15 maggio 1918 di nuovo e definitivamente dal campo patavino. Capace tecnico e grande organizzatore, si dimostrò tuttavia poco adatto al comando e nel settembre 1918 fu rimosso, a seguito di gravi inefficienze e problemi disciplinari sorti in seno alla squadriglia. Fu un convinto assertore della celebre impresa di Vienna per la quale pretese ed ottenne l'impiego di tutta l'unità. Dopo la guerra si trasferì a Milano e intraprese una attività industriale. In questa città si è spento nel 1964 all'età di 80 anni.

 Ecco come Gianni Cantù, racconta la vicenda "dannunziana" sulle pagine di Pantheon:  Il 9 agosto 1918 la “Serenissima” viola il cielo di Vienna. A bordo del primo dei sette “SVA” che inondano di manifestini la capitale dell’Impero asburgico siede Gabriele D’Annunzio, il Poeta che già nel 1915 aveva ideato il raid. Ma il Vate, che non è aviatore, è un passeggero, ospite illustre dell’87^ Squadriglia “Serenissima”, comandata dal capitano Alberto Masprone, che l’aveva costituita con altri piloti veronesi. Già, perché Masprone, conosciuto per i suoi allori sportivi, era di Poiano. Nato il 30 maggio 1884, morì il 13 febbraio 1964. Portacolori dell’Istituzione Comunale Marcantonio Bentegodi, Masprone era tra i campioni veronesi che parteciparono alle prime edizioni dei Giochi Olimpici. Gli altri erano Erminio Lucchi, i fratelli Angelo e Virgilio Tommasi, Albino Pighi ed il “campionissimo” Adolfo Consolini”. Finalista nel lancio del disco ai “Giochi Olimpici Intermedi” nel 1906 ad Atene, nelle Olimpiadi del 1908 stabilisce il suo record personale lanciando il disco a metri 40,10. Versatile nelle discipline sportive, praticò anche il calcio e fu allenatore del “Verona” negli anni 1911/12, 1912/13 e 1913/14. Con Enzo Ferrari fu tra i fondatori del “Corriere dello Sport”. Alberto Masprone ebbe il primo contatto con l’aviazione nel maggio 1910, quando organizzò l’immensa “salle à manger” per i partecipanti al Circuito Aereo Internazionale di Verona, per le autorità ed i giornalisti, sul campo di Tombetta. Pilota militare con il grado di capitano, in una brumosa mattina del novembre 1917 raccolse attorno a sé sull’aeroporto della Malpensa alcuni piloti suoi concittadini, lanciando l’idea di formare una Squadriglia di veneti, riunendo nel reparto tutti i piloti veneti destinati a qualche squadriglia al fronte. Reduci dall’attività bellica o dalla Scuola di volo di Furbara, c’erano i tenenti Aldo Finzi, di Legnago, e Giordano Bruno Granzarolo, da Carpi di Villabartolomea, i sottotenenti Nello Marani, Guglielmo Vianini, entrambi di Verona, Francesco Ferrarin, Alberto Grazzini e Fornasari. Si unì anche il bergamasco ten. Antonio Locatelli, accettato nella “Serenissima (questo il nome sceltp da Masprone e Finzi) in quanto Bergamo faceva parte del territorio della Serenissima Repubblica di Venezia.

 Il Commissario per l’Aeronautica”, a Roma, ed il maggiore Capuzzo, del Comando Supremo, diedero subito il loro benestare e la “Serenissima” (il nome sarà ufficialmente riconosciuto dopo il volo su Vienna) venne costituita  come 87^ Squadriglia da ricognizione a lungo raggio, con i nuovi, velocissimi SVA 5. Inizialmente da Ghedi, la Squadriglia di Masprone ai primi del 1918 si spinge sulle valli trentine (Valsugana, Val di Non, Val Sarca), sulle Giudicarie, su Trento, fino ad Innsbruck. Ai primi di maggio, mentre si aggiungono alla prima schiera i tenenti Contratti e Sarti, i tenenti Locatelli e Granzarolo effettuanomn una riuscita ricognizione fotografica su Trieste. Scartato il progetto di apprestare una base a Nogara perché il terreno, impregnato d’acqua dopo giorni e giorni di pioggia, risultò inadeguato, la Serenissima viene spostata sul campo di San Pelagio vicino Padova. Importanti missioni fotografiche vengono compiute da Locatelli e Ferrarin fin sul Lago di Costanza (un raid di 750 chilometri) e da Sarti e Vianini lungo il Tagliamento, fino alle sorgenti. L’intera squadriglia prende parte con azioni di ogni tipo alla “battaglia del Piave”, in cui la nostra aviazione avrà il dominio assoluto del cielo, determinando il crollo morale dei combattenti avversari. Dopo questa fase positiva per le armi italiane, il capitano Masprone è convocato dal generale Bongiovanni, capo dell’Aeronautica del Comando Supremo, che gli chiede di preparare quattro SVA per un volo di milleduecento chilometri sul territorio nemico. Ogni apparecchio avrebbe dovuto portare un carico di venti-trenta chili di manifestini. Masprone afferra al volo l’idea e risponde che, se alcuni aerei devono volare su Vienna, come gli fa pensare la proposta, tutta la Squadriglia deve parteciparvi, con un volo di massa. Egli prevede di preparare in quattro settimane i 14 apparecchi della 87^ Squadriglia. Il generale Bongiovanni acconsente alla preparazione dell’intera Squadriglia e Masprone si mette subito all’opera. Dopo un adecina di giorni, mentre l’addestramento procede a ritmo serrato, il generale convoca ancora Moasprone e gli fa presente che il maggiore Gabriele D’annunzio, che già nel 1915 aveva pensato a quel raid, ha chiesto di prendervi parte. Ma lo SVA è monoposto. C’è un biposto, a disposizione del capitano Bourlot del Comando Supremo, ma pochi giorni dopo il velivolo precipita. All’Ansaldo l’ingegner Brezzi fa miracoli, lavorando giorno e notte, per approntare un nuovo biposto, con serbatoio supplementare per il lungo volo: D’Annunzio volerà a cavalcioni del serbatoio, tenendo una mano sotto la punta del pugnale, per evitare che possa forare il serbatoio…. Di studiare i dettagli dell’impresa sono incaricati il Capo dello Stato Maggiore col. Franchi Stappo, il Cap. Porro dell’Ufficio Operazioni, il capitano Masprone ed i tenenti Finzi e Locatelli. Partiranno due gruppi di sette apparecchi ciascuno in formazione a cuneo.

 La necessità di trattenere almeno tre SVA per le ricognizioni sul fronte del Piave fanno ridimensionare il piano e vari contrattempi minacciano l’aborto del progetto. D’Annunzio si dispera e si rivolge a Masprone: “Non può deludermi così crudelmente. E, come confido nel Destino, così confido nel Suo spirito fraterno…. Pel buon successo, è necessario che il tempo si ristabilisca fermamente. Partiti, non dobbiamo tornare indietro. Il vostro Stormo è uno strale, come nella vecchia immagine. Perciò oso rivolgerLe la preghiera di non tralasciare nulla per convincere i Capi che la scelta del giorno deve essere Sua. “Intanto io spero che i nostri operai siano già all’opera. A ognuno dimostrerò la mia riconoscenza. Mi ricordi ai prodi compagni, e s’abbia un’affettuosa stretta di mano dal Suo Gabriele D’Annunzio”. Ridotto a undici, per le necessità operative sul Piave, il numero degli apparecchi che dovranno sorvolare Vienna, per due volte la Serenissima deve tornare a San Pelagio per le avverse condizioni meteorologiche. Finalmente, all’alba del 9 agosto, la Serenissima decolla. Ma il comandante Masprone è costretto ad atterrare tra gli alberi, pochi minuti dopo il decollo, per il malfunzionamento del motore, riportando la frattura della mandibola. Altri due aerei devono atterrare prima di superare le Alpi. Proprio sul campo di Wiener-Neustadt, base della caccia che deve difendere la capitale, anche Sarti deve tentare un atterraggio di fortuna, per un’avaria irreparabile al motore. Riuscirà ad incendiare lo SVA prima di venire catturato. I “Sette del’Orsa Maggiore” giungono sulla verticale di Vienna e per due volte sorvolano il centro, il cuore dell’Impero, lanciando il messaggio di sfida. Il rientro a San Pelagio è trionfale. Atterra per primo, alle 12,40, il ten. Ludovico Censi, che ai camerati accorsi grida: “A settecento metri su Vienna!”. A mensa, nel Castello, commentando con il generale Bongiovanni e tutti i piloti l’impresa compiuta, D’Annunzio dice: “questa nostra impresa noi l’abbiamo ostinatissimamente voluta. E’ nobile, perché porta  l’impronta della volontà indefessa. Nacque in quella sera lontana del primo anno d guerra, là, sul piano di Campoformido, quando nella carta la matita rossa tracciò per scongiuro e per voto la linea della rotta dal villaggio del basso Trattato alla capitale austriaca. C’è una predestinazione segreta dentro il disegno. C’era perfino l’influsso del numero perfettissimo. Da principio eravamo in quattordici. E quelli che desiderarono e lavorarono e aspettarono e s’affannarono, e poi furono dalla sorte delusi, quelli devono essere lodati come gli altri, come gli eletti dalla fortuna. Avevo portato meco per un buon augurio il mio guidone azzurro di Cattaro, costellato dalle sette stelle dell’Orsa, il segno che m’era stato fausto nella notte Adriatica quando trassi dal labirinto marino il motto di guerra che la Squadriglia di nome “Serenissima” ha raccolto e fatto suo: “Iterum rudit Leo”. “Il mattino del nove eravamo undici alla partenza…. Sono tutti qui seduti, intorno a questa mensa, degni dello stesso onore i fortunati e gli sfortunati. Uno di essi, Masprone, ha la bocca ferita, e pure sorride senza invidia e senza rancore. Sopra la foce del Piave eravamo otto. Ma il numero sette della costellazione fatale doveva prevalere. Prima della meta l’ottava stella si consumava come una delle lacrime di fuoco che solcano l’aria di queste notti di san Lorenzo. “O compagni, offriamo il meglio dei nostri cuori al prigioniero che è triste e solo, laggiù, avendo perduto la libertà, che è mille volte più preziosa della vita”.

Gianni Cantù, da “Pantheon” il magazine di Valpolicella e Lessinia, agosto/settembre 2011

 

 

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